🐍IL RISVEGLIO DEL NAGA
Sacro, profano… e affamato.
Antico come l’acqua. Inquieto come la memoria.
📍 AMBIENTAZIONE:
Nord-est della Thailandia, regione dell’Isan. Risaie sommerse, templi dimenticati, villaggi spopolati lungo il corso del fiume Mekong. Un confine sottile tra il mondo visibile e quello che non dovrebbe più essere svegliato. Quando un’antica spirale viene rinvenuta in un villaggio scomparso nella provincia di Nakhon Phanom, la giornalista italiana Clara Moretti si trova coinvolta in un’indagine che va oltre la cronaca. Insieme all’archeologo Luca Ferri, scopre che la leggenda del Naga, il serpente sacro delle acque, non è mai stata solo leggenda.
Villaggi interi scompaiono nel silenzio.
Le statue dei templi vengono decapitate.
Simboli rituali emergono dal fango.
E una bambina silenziosa, sopravvissuta a un massacro, sembra l’unica a poter comunicare con l’entità che sta tornando.
Il governo nega. L’esercito si prepara. Ma Clara e Luca capiscono che la minaccia non è solo fisica: è simbolica, spirituale, geologica. Il Naga è un essere antico che porta con sé un messaggio, e forse una vendetta.
Mentre la creatura si manifesta in forma sempre più visibile, la tensione sale. E quando il fiume si solleva in un ultimo atto di memoria, i protagonisti si troveranno davanti a una scelta impossibile:
salvare le persone… o la verità.
Dove il fiume racconta ciò che gli uomini hanno dimenticato.
🎬 Episodi:
La Spirale nel Fango
Segreti Sottoterra
La Pagoda dei Decapitati
I Villaggi Fantasma
La Creatura
Il Naga e la Bambina
La Rivelazione del Fiume
Nessuna Preghiera
🎯 Temi chiave:
Mitologia e creature antiche
Spiritualità orientale e contaminazione moderna
Il peso del passato nella geografia del presente
L’orrore del sacro quando diventa inascoltato
Il conflitto tra razionalità occidentale e visione ciclica del tempo
Un’archeologa, una giornalista, una bambina, un veggente…
e qualcosa che non doveva più risvegliarsi.
🧍♀️ Clara Moretti – La testimone
Professione: Giornalista freelance italiana, ex inviata per riviste internazionali
Età: 38
Carattere: razionale, indipendente, con una curiosità ostinata che spesso le mette nei guai
Ruolo: È la prima ad arrivare a Ban That e l’ultima a restare. Attraverso i suoi occhi scopriamo la spirale, il Naga, e il crollo della barriera tra realtà e mito. La sua voce guida il lettore tra reportage e visioni.
Arco narrativo: Da testimone esterna a partecipante diretta del risveglio.
🧍♂️ Luca Ferri – L'interprete del passato
Professione: Archeologo e geologo dell’Università di Firenze, specializzato in simbologia pre-Khmer
Età: 44
Carattere: pragmatico, colto, disilluso, ma con un rispetto profondo per ciò che non capisce
Ruolo: Interviene per decifrare i simboli. È la memoria storica della squadra, ma anche il ponte tra l’archeologia e il mito.
Arco narrativo: Da accademico scettico a custode involontario di un segreto che avrebbe preferito non scoprire.
🧒 Nok (nome attribuito) – La bambina-ponte
Età apparente: 9
Origini: misteriosa sopravvissuta al villaggio scomparso di Ban Phai Lom
Carattere: silenziosa, enigmatica, comunicativa solo attraverso sogni e simboli
Ruolo: È l’unica in grado di “parlare” con il Naga. Compare nel momento in cui le spiegazioni finiscono.
Arco narrativo: Da sopravvissuta a messaggera, con un destino legato al sacrificio.
🧓 Il Mor Phi – Il veggente stanco
Età: indefinita (60–70)
Carattere: quieto, fatalista, testimone degli eventi passati
Ruolo: Aiuta Clara e Luca a comprendere che il risveglio non è solo fisico, ma spirituale e simbolico. Le sue parole sono enigmi.
Arco narrativo: Da spettatore silente a ultimo guardiano della verità.
🐍 Il Naga – La creatura e la coscienza
Forma: serpente colossale, mutato nel tempo, metà materia e metà archetipo
Ruolo: Non è un mostro, non è un dio. È la memoria viva della terra. Portatore di equilibrio, ma anche di condanna se disturbato.
Carattere: non umano, ma senziente. Reagisce, osserva, giudica.
Arco narrativo: Da entità mitica a presenza reale, fino alla rivelazione della sua volontà.
Ban That – Il villaggio cancellato
Avvolto in una nebbia densa e stagnante, Ban That giace in silenzio tra le risaie sommerse dell’Isan. Le case su palafitte, un tempo vive di voci e canti, ora sembrano vuoti scrigni dimenticati. Le finestre spalancate come occhi spenti, le stuoie arrotolate sulle soglie, gli amuleti abbandonati ancora appesi agli stipiti.
La luce non entra. Il sole non scalda.
Nessun animale. Nessun canto. Solo il ronzio dell’attesa.
Nel fango, una spirale. Incisa. Perfetta.
Il primo segno.
Ban That non è stato distrutto.
È stato dimenticato da tutti, tranne da ciò che dormiva sotto di esso.
Prefazione – Articolo Giornalistico (non pubblicato)
di Clara Moretti, inviata indipendente
ISAN, Thailandia – Luglio 2024
Il villaggio di Ban That è scomparso. Non è stato colpito da un’alluvione, né evacuato per un disastro ambientale. Semplicemente… non c’è più.
Quando sono arrivata, la vegetazione aveva già cominciato a riprendersi le strade. Le case erano vuote, le porte spalancate come bocche stanche. Amuleti rotti, ciotole offerte ancora piene, sandali da bambino lasciati all’ingresso. Nessun segno di conflitto, nessuna traccia evidente. Solo un silenzio ostile.
Ho chiesto spiegazioni. Le autorità locali mi hanno liquidata in fretta. Un monaco anziano, l’unico rimasto nella pagoda in rovina, ha sussurrato parole che non dimenticherò:
“Non cercare risposte. Non adesso che Lui si è svegliato.”Negli ultimi tre mesi, sette villaggi della regione nord-orientale della Thailandia sono stati evacuati senza spiegazioni ufficiali. La popolazione parla sottovoce, ma i racconti sono simili: luci nel fiume, serpenti giganteschi, preghiere ignorate.
Il governo parla di “ritiro volontario dalle zone agricole marginali”. Ma io ho visto cose che non riesco a spiegare. Ho sentito la terra tremare senza motivo. Ho trovato incisioni rituali nel fango, grandi quanto un campo da calcio.
Questo non è un articolo. È un avvertimento.
È il mio taccuino, lasciato a qualcuno. Nel caso non tornassi.
Un villaggio scomparso.
Un simbolo inciso nella terra.
Il respiro del Naga è appena cominciato.
🐍EP.1: LA SPIRALE NEL FANGO
📍 Ban That – Provincia di Nakhon Phanom, Isan (Thailandia nordorientale)
Il cielo sopra Ban That aveva un colore malato. Non grigio. Non azzurro. Un misto lattiginoso, come se le nuvole stessero trattenendo qualcosa che non avevano il coraggio di lasciare cadere.
Clara Moretti scese dal songthaew impolverato. L'autista, un giovane che non smetteva di fissarla nello specchietto, non le fece nemmeno scaricare la borsa prima di ripartire. Disse solo:
— «Qui non torna nessuno.»
E sgommò via nella polvere.Clara strinse la tracolla della reflex, si voltò verso l’unica strada del villaggio. Nessun rumore. Solo il ronzio elettrico delle cicale e l’eco lontano del Mekong, che scorreva pigro a meno di un chilometro da lì. Aveva già visto villaggi abbandonati in Birmania e Cambogia. Ma questo era diverso.
Ban That non sembrava abbandonato.
Sembrava cancellato.Case su palafitte ancora in piedi. Stuoie arrotolate sulle verande. Amuleti lasciati sugli stipiti, come se qualcuno li avesse sistemati in fretta prima di scappare. In una delle capanne, Clara trovò una pentola ancora sul fuoco spento. Riso annerito. L’acqua era evaporata da giorni, ma nessuno l’aveva spenta.
Tirò fuori la macchina fotografica. Scattò in automatico.
Tetti. Insegne rovinate.
Poi lo vide.Il simbolo.
Una spirale. Perfetta. Scolpita nel fango compatto, larga almeno due metri. Non era un disegno fatto da un contadino. Era incisa con una simmetria impossibile a occhio nudo.
Clara si avvicinò. Si accovacciò. Sfiorò i bordi con la punta delle dita. Il terreno era stranamente caldo.
Una vibrazione le attraversò il palmo. Un tremore.
No.
Un respiro.Scattò tre foto. Poi si rialzò. Fece per tornare verso il centro del villaggio, ma qualcosa si mosse dietro una casa in rovina. Un rumore d'acqua. Passi scalzi.
Un bambino.
Era magro, con il volto sporco di fango e un cordino rosso al collo da cui pendeva un amuleto spezzato. La fissava senza parlare, gli occhi spalancati.
— «Ciao… tutto bene? Sei da solo?»
Lui non rispose. Le indicò qualcosa alle sue spalle.Clara si voltò di scatto. Nulla. Solo alberi, risaie, un tronco caduto.
Quando tornò a guardarlo, non c’era più. Né orme. Né rumore. Solo l’amuleto lasciato a terra.
Lo raccolse. Lo rigirò tra le mani. C’era inciso un piccolo Naga. E dietro… una spirale.
Clara sentì un fruscio nel vento. Poi un sussurro.
Una lingua che non conosceva, ma che le arrivò dritta allo stomaco.Scattò un’ultima foto. Poi si voltò e corse.
Non perché fosse in pericolo.
Ma perché, in quel momento, sentì che qualcosa la stava seguendo.
🐍EP.2: SEGRETI SOTTOTERRA
Il Mekong non era solo un fiume.
Era una cicatrice antica.
Un confine d’acqua dove la realtà si sfuma, e le leggende galleggiano tra le nebbie del mattino.
Clara Moretti lo guardava scorrere, seduta su una panca di legno al molo di Tha Uthen. Aveva dormito poco. La notte era stata fatta di rumori – e di assenza di rumori. Il tipo di silenzio che ti fa capire che qualcosa sta ascoltando.
A fianco a lei, il suo taccuino aperto su uno schizzo: la spirale, l’amuleto, la figura del bambino. Ogni volta che provava a razionalizzare, qualcosa le sfuggiva. Come se ogni pezzo della storia si rifiutasse di restare fermo.
Alle 8:23 in punto, arrivò lui.
Lo riconobbe dalla barba corta, dai Ray-Ban consumati e da quell’aria da accademico che ha visto troppe cose per restare un accademico.
— «Clara Moretti?»
— «Dottor Ferri?»
— «Chiamami Luca. Ho letto il tuo articolo sulla diga di Pak Beng. Sei brava a infilarti nei casini.»
Le strinse la mano, poi sedette accanto a lei, fissando il fiume.
— «Mi hai detto “spirale”. Hai idea di cosa significhi, da queste parti?»
Clara tirò fuori le foto. Le posò sul legno umido.
— «Non è decorativa, vero?»
Luca non sorrise.
— «È una mappa rituale. Ma è incompleta. Dove l’hai trovata… dev’esserci un sito archeologico. Nascosto. E probabilmente ancora attivo.»
Fece una pausa. Poi abbassò la voce:
— «E se è stato riaperto, qualcuno ha rotto qualcosa che non doveva.»
Il villaggio di Ban Khok sembrava normale. Troppo normale. Pulito, silenzioso, senza bambini. Solo anziani seduti su stuoie, che sembravano aspettare che il tempo passasse. Clara notò che ogni casa aveva una piccola statua del Naga alla porta. Alcune, rotte.
Un uomo li accolse con diffidenza. Portava una camicia militare con gradi cuciti male. Parlava solo thai. Luca tradusse.
— «Dice che qui non è successo nulla. Che siamo turisti. Che dovremmo andare via prima del tramonto.»
Clara alzò lo sguardo verso le colline.
— «Cos’è quella apertura lì sopra? Sembra… una grotta.»
— «Dice che è vietato. Che lì c’è il respiro del passato. Io direi che andiamo a dare un’occhiata.»
La salita fu breve ma ripida. Il sentiero, se mai c’era stato, era stato inghiottito dalla vegetazione. Le liane sembravano mani. La grotta si aprì davanti a loro come la bocca di un animale stanco.
Dentro, l’aria era ferma. Umida. Densa.
Clara accese la torcia. I fasci di luce rivelarono pareti incise, bassorilievi che danzavano tra luce e ombra. Un serpente che avvolgeva il mondo. Uomini inginocchiati. Figure che spezzavano sigilli con martelli d’oro.
— «Questa… questa è roba seria,» mormorò Luca, poggiando una mano sul muro. «Non siamo in un sito qualunque. Questo… è un carcere.»
— «Un carcere?»
— «Un luogo di prigionia rituale. Secondo alcune leggende, le creature divine non venivano uccise, ma silenziate. Imprigionate con simboli, parole e sangue.»
Clara si inginocchiò. Sul pavimento, una lastra spezzata. Al centro, ancora incrostata di terra: una spirale identica a quella del villaggio.
Ma questa era incrinata.
Uno spostamento d’aria li fece voltare. Non c’era nessuno. Eppure…
Dal fondo della grotta si alzò un suono. Non un ruggito. Non un sibilo.
Un respiro.
Lento. Profondo. Antico.
Il fiume là sotto tremò, come se qualcosa si fosse girato nel sonno.
E Clara capì che non stavano cercando una creatura.
La creatura li aveva già trovati.
🐍EP.3: LA PAGODA DEI DECAPITATI
📍 Wat Phra That Phanom – Distretto di That Phanom, Provincia di Nakhon Phanom, Thailandia nordorientale
Il Wat Phra That Phanom non era un tempio qualunque.
Per i thailandesi, era un luogo sacro.
Per Clara Moretti, era una frattura aperta nella storia.
Ci arrivò con Luca Ferri a bordo di un pick-up sgangherato, dopo due ore di strada tra curve, campi allagati e silenzi sospetti. Il Mekong li accompagnava alla sinistra, grigio e immobile come un animale addormentato.
— «Questo tempio è un simbolo per tutta la regione,» disse Luca, mentre la guglia dorata del chedi centrale si intravedeva tra i tetti. «Ma gli affreschi nei corridoi interni sono... anomali. Recentemente coperti con strati di stucco. Come se qualcuno volesse cancellare qualcosa.»
Clara annuì in silenzio. Sentiva l’amuleto trovato nel villaggio battere contro il petto sotto la camicia. Era freddo. Più freddo della mattina stessa.
Appena varcarono il cancello secondario, fu chiaro che qualcosa non andava. Nessuna attività. Nessuna offerta. Nessun monaco. Solo il fruscio del vento tra le bandiere di stoffa colorate.
— «Non c’è nessuno,» sussurrò Clara.
— «No. Ma è evidente che qualcuno c’era. Guarda lì.»
Luca indicò le scalinate laterali. Sulle soglie delle cappelle minori, c’erano statue. Di Buddha, di naga, di animali mitologici.
Ma tutte con la testa mozzata.
Clara si avvicinò. Ogni testa era stata rimossa con precisione, poi allineata con cura contro il muro del chiostro. Sotto ogni statua decapitata, incisa nella pietra: una spirale.
— «È lo stesso simbolo,» mormorò Clara. «Ban That. La grotta. Qui.»
— «Non è un caso. Questa è una barriera. O meglio… lo era.»
Entrarono nella cappella laterale. L’aria era densa, polverosa. La luce delle torce tremolava sulle pareti intonacate di fresco. Ma in un angolo, un pezzo d’intonaco si era staccato, rivelando un affresco.
Un naga gigantesco, avvolto su sé stesso. Uomini inginocchiati, monaci con le mani alzate, e al centro… una fenditura nella terra.
Clara fece una foto.
Il flash illuminò l’interno. Qualcosa brillò sotto al pavimento.
Una fessura. Una crepa.
Si chinò. La pietra sembrava viva. Non si spostava. Non scricchiolava. Ma vibrava.
Fu allora che sentirono i passi.
Secchi. Precisi. Ritmati.
Un uomo apparve sullo sfondo. Tunica arancione, pelle scura, capelli rasati. Un monaco. Giovane, magro, con gli occhi arrossati come da notti senza sonno.
— «State cercando ciò che non vuole più essere trovato,» disse in un inglese stentato.
— «Cos’è successo a queste statue?» chiese Luca.
— «Abbiamo provato a sigillarlo. Ma è tardi. Il respiro si è già fatto carne. Il Naga… ha iniziato a ricordare.»
Clara fece un passo indietro.
Il pavimento scricchiolò.
Una linea di fango si allungò tra le lastre di pietra.
— «È sveglio,» sussurrò il monaco. «E non dorme più.»
🐍EP.4: I VILLAGGI FANTASMA
📍 Distretto di Na Kae e dintorni – Provincia di Nakhon Phanom, Thailandia nordorientale
L’aria nel distretto di Na Kae aveva un odore strano.
Di pioggia vecchia e fuoco spento.
Di attesa.
Clara e Luca avevano lasciato That Phanom alle prime luci dell’alba. Il monaco, prima di sparire, aveva lasciato solo due parole:
“Andate a Na Kae.”
Nessuna spiegazione, nessuna mappa. Solo un nome, pronunciato con il terrore negli occhi.
E da allora, tre villaggi risultavano “non raggiungibili per via di strade interrotte”. Nessun dettaglio. Nessuna foto. Solo un silenzio digitale, rotto da notifiche di aggiornamenti cancellati.
La strada si faceva più stretta ad ogni chilometro. Il GPS oscillava, confuso. Intorno a loro, paludi secche, alberi senza foglie, case diroccate.
E poi, una curva cieca.
Un villaggio.
Il primo.
Ban Nong Sawan era segnato come “attivo” su Google Maps. Ma quando Clara scese, si trovò davanti una distesa di desolazione: tetti sfondati, sedie rovesciate, insegne penzolanti come carcasse.
— «Dove sono finiti tutti?» mormorò.
Luca annuì.
— «O se ne sono andati in fretta… o non sono riusciti ad andarsene.»
Le case erano aperte. Alcune, distrutte dall’interno. Non c’erano corpi. Ma c’erano tracce. Scarpe da bambini accanto a recipienti rotti. Un televisore acceso, ma privo di segnale. Sopra ogni porta, il simbolo che ormai conoscevano: una spirale scolpita con dita nervose, frettolose, ossessive.
Proseguirono verso il secondo villaggio: Ban Don Klang.
Qui, il silenzio era ancora più profondo.
Non un cane.
Non una mosca.
Solo un muggito.
Un bufalo, impalato su una recinzione, come se fosse stato sollevato e scaraventato. E intorno, il terreno era inciso da solchi profondi, come se qualcosa avesse strisciato via… gigantesco.
Clara scattò foto. Poi accese il drone.
Il segnale salì.
Il drone si sollevò.
Da lassù, i due videro il disegno.
Le spirali erano ovunque.
Collegate tra loro, da risaia a risaia.
Formavano un’enorme figura serpentiforme.
— «Sta marcando il territorio,» disse Luca.
— «O lo sta richiamando. Come un… rituale.»
Fu allora che il drone cadde.
Non colpito. Non fulminato.
Afferrato.
La telecamera trasmise l’ultima immagine: occhi bianchi nella risaia, e il riflesso di una bocca spalancata.
Quella notte si rifugiarono a Ban Tha Uthen, un villaggio che sembrava ancora abitato. Ma nessuno li accolse. Trovarono alloggio presso una donna anziana che li guardava come si guarda un temporale in arrivo.
— «Non vi conviene restare,» disse.
— «Perché?»
— «Il fiume si è svegliato. E chi lo ha disturbato… deve pagare.»
Clara non dormì.
Montò le foto. Analizzò i simboli.
Scoprì che le spirali non erano solo decorative: erano parte di un sistema.
Un codice.
Una lingua.
Un messaggio.
E aveva l'impressione di averne appena decifrato una parola.
Una sola.
Vendetta.
🐍EP.5: – LA CREATURA
📍 Risaie tra Ban Don Klang e il fiume Mekong – Provincia di Nakhon Phanom, Isan
La sera calava sulle risaie come una coperta bagnata.
Il cielo era piatto, rosso sul bordo dell’orizzonte, ma senza tramonto. Il tipo di luce che non promette nulla di buono.
Clara e Luca erano tornati al punto in cui avevano perso il drone.
Lì, tra le zolle di terra smosse, avevano trovato solo pezzi contorti di plastica bruciata, come se l’aria avesse preso fuoco per un attimo.
— «C’è qualcosa che non torna,» disse Clara, inginocchiata a osservare il terreno. «Guarda le zolle. Sembrano calpestate. Ma da sotto.»
Luca controllava la bussola. L’ago tremava, oscillava, poi girava in tondo.
— «Le linee magnetiche qui sono impazzite.»
Si guardarono.
Nessuno dei due lo disse, ma lo pensavano:
stava arrivando qualcosa.
Quella notte si accamparono nella capanna abbandonata di un pescatore, poco distante dal fiume. Il legno scricchiolava. L’umidità era ovunque.
Clara non dormiva.
Riguardava le foto scattate col teleobiettivo. In una, lontanissima, tra due canne piegate dal vento, sembrava intravedersi una curva di squame verde scuro. Ma forse era solo fango.
Poi, lo sentì.
Non un rumore.
Un’assenza.
Tutti i suoni — le rane, i grilli, le foglie — erano spariti.
Un secondo dopo, il legno sotto la capanna vibrò.
— «Luca.»
— «L’ho sentito.»
Corsero fuori. La torcia illuminò solo nebbia. Ma nel campo, davanti a loro, l’acqua si stava muovendo da sola. Non onde.
Linee. Circolari.
Qualcosa stava ruotando sotto la superficie della risaia.
Poi… emerse.
Non tutto. Solo una parte.
Un dorso lungo, coperto di squame, grande come una barca da pesca. Scivolava lentamente, senza produrre schizzi. Poi, un occhio. Immenso. Bianco. Privo di pupilla. Li guardava.
Clara sentì il cuore bloccarsi in gola. Non era paura. Era vertigine.
Come se qualcosa di antico la stesse guardando attraverso la pelle, le ossa, le memorie.
Luca alzò la reflex.
Scattò.
La creatura si voltò di scatto. E l’acqua si alzò.
Una muraglia liquida li colpì. Clara rotolò nel fango. Persa la torcia. Persa la macchina. Solo fango e acqua e rumore.
Quando si rialzò, non c’era più nulla.
Solo la risaia calma. Come se nulla fosse successo.
Ma nell’acqua, dove il mostro era passato, galleggiavano piccoli pesci… tutti morti.
Luca la raggiunse. Tremava.
— «Hai visto?»
— «Sì.»
— «Non è solo un animale.»
— «No. Non lo è.»
La mattina dopo, nella luce pallida, tornarono sulla scena.
Nel punto dove avevano visto l’occhio, il terreno era cambiato.
Non fango.
Non risaia.
Pietra.
Una spirale di pietra, affiorata durante la notte, con simboli sconosciuti.
Clara si inginocchiò, esausta.
Aveva visto qualcosa che il mondo non era pronto a credere.
Ma ora lo sapeva:
Il Naga non era leggenda.
Il Naga era tornato.
E li aveva visti.
🐍EP.6: IL NAGA E LA BAMBINA
📍 Ban Phai Lom – Distretto di Renu Nakhon, Provincia di Nakhon Phanom
C’era una casa alla fine del villaggio.
Una casa piccola, di legno chiaro, con le finestre chiuse da giorni e una spirale disegnata con cenere sul pavimento del portico. Lì viveva la bambina.
Il nome non era certo. Alcuni la chiamavano Nok, altri dicevano fosse muta. Tutti concordavano su una cosa: era l’unica sopravvissuta di Ban Phai Lom.
Clara e Luca ci arrivarono all’alba, accompagnati da un ufficiale locale che parlava poco e stringeva forte il suo ciondolo di Buddha come se potesse salvarlo da qualcosa che non capiva.
— «È lei,» disse l’uomo, indicando la porta.
— «Parla?» chiese Clara.
— «Parla… ma non con voi.»
La bambina era seduta al centro della stanza, in silenzio. Aveva otto, forse nove anni. Capelli neri legati con uno spago. Negli occhi, il vuoto che solo chi ha perso tutto può sostenere.
Accanto a lei, fogli disegnati a matita: spirali, occhi, serpenti, e un disegno in particolare. Una figura colossale, verde scuro, con un solo occhio visibile.
La creatura.
— «L’ha visto?»
La bambina non rispose. Ma annuì.
Clara si avvicinò.
— «Hai paura di lui?»
La bambina ci pensò. Poi scosse la testa.
— «Gli parli nei sogni?»
Silenzio. Poi un altro cenno. Sì.
Luca si chinò accanto a Clara.
— «Non è solo un legame simbolico. Lei… lo sente. È un ponte.»
Quella notte, Clara sognò.
Acqua ovunque. Acqua nera, profonda. Lei camminava sopra una spirale incisa nel Mekong. Attorno, ombre. E poi… un occhio. Immenso. Immobile.
E una voce, dentro la testa:
“Avete rotto i sigilli.”
“Il sangue non è stato versato.”
“Ora camminerò di nuovo.”
Si svegliò madida di sudore. La bambina era accanto a lei. La guardava in silenzio.
Poi, con la punta del dito, tracciò un simbolo sul pavimento:
una spirale doppia.
E pronunciò la sua prima parola.
— “Offerta.”
Il giorno dopo, Clara e Luca consultarono un anziano della zona, un mor phi, un veggente ritirato. L’uomo parlava lentamente, come se pesasse ogni parola.
— «Il Naga non uccide per vendetta. Ma per riequilibrare. Quando l’uomo rompe, la terra risponde. La bambina è nata il giorno della luna spezzata. È un segno. Se vi segue… forse potete ancora fermarlo.»
Clara lo fissò.
— «Fermarlo? O aiutarlo?»
Il vecchio si voltò verso il fiume.
— «Dipende cosa volete salvare. La gente… o la verità.»
🐍EP.7: LA RIVELAZIONE DEL FIUME
📍 Parco Nazionale Phu Langka – Confine tra Nakhon Phanom e Sakon Nakhon, Isan
L’auto si fermò a metà strada. L’ultima parte avrebbero dovuto farla a piedi, con l’umidità che impregnava i vestiti e un cielo basso, color ruggine, che preannunciava pioggia ma non manteneva la promessa.
La bambina camminava davanti, a piedi nudi.
Ogni tanto si fermava, si voltava, e senza parlare tracciava una nuova spirale con un bastoncino sul terreno fangoso. Non indicava la strada.
La disegnava.
Clara aveva smesso di farle domande. Aveva capito che Nok — o come diavolo si chiamasse — non era una guida. Era un messaggio.
Il sentiero salì tra le rocce e gli alberi spogli. Poi, dopo un’ultima svolta, apparve una radura.
E lì, un lago. Piccolo, perfettamente rotondo. Al centro, una piattaforma di pietra affiorava appena. Antica. Coperta di licheni. Con al centro un bassorilievo familiare.
Una spirale.
Ma non solo.
Era doppia. Due serpenti intrecciati, che formavano un simbolo simile all’infinito.
— «Non è un sigillo,» disse Luca, osservando i rilievi. «È un… affresco cosmologico. Guarda… qui sono rappresentati i tre mondi: sottosuolo, superficie, e cielo. Il Naga li unisce tutti.»
Clara si avvicinò alla riva. Il riflesso del cielo si spezzava nell’acqua scura.
Ma qualcosa le bloccò il respiro.
Nel fango, inciso tra le canne: un simbolo inciso da poco. Non da un essere umano.
Era una scritta. In una lingua che non conosceva.
Eppure, la capiva.
“PRIGIONIA.”
Poi un sibilo. Non udibile con le orecchie. Ma chiaro nella testa.
“Non sono un dio. Non sono un mostro.
Sono memoria.
E voi l’avete spezzata.”
Clara indietreggiò.
Il lago iniziò a tremare. Le onde si sollevarono in cerchi concentrici.
Poi… apparve.
Non tutto. Solo la testa. Ma bastava.
Un’enorme creatura emerse dall’acqua torbida, le squame verdi coperte di muschio, gli occhi senza pupille. Ma vivi.
Troppo vivi.
La bambina avanzò. Nessuna paura. Alzò il disegno che stringeva ancora in mano.
Il Naga inclinò il capo.
Poi sprofondò.
Acqua. Silenzio. Nebbia.
Quella notte, Clara fece un altro sogno.
Era nel tempio di Phanom Rung, ma tutto era coperto d’acqua. Le statue erano vive.
Il Naga parlava con la voce di suo padre. Diceva:
“Non abbiamo mai chiesto di essere adorati. Solo… dimenticati.”
Si svegliò tremando.
Luca era già in piedi.
Aveva una mappa in mano.
— «Abbiamo ancora un luogo da vedere. E non è sulla carta. Ma la bambina… l’ha disegnato.»
Era una grotta. L’ultima.
Il luogo dove tutto era iniziato.
E forse… dove tutto sarebbe finito.
🐍 EP.8: NESSUNA PREGHIERA
📍 Confine tra il Parco Nazionale Phu Langka e il Mekong – Thailandia/Laos
Era l’alba. Ma sembrava notte.
Il cielo sopra il Mekong era grigio piombo, striato da un vento innaturale che scuoteva gli alberi senza toccare le foglie. L’acqua era immobile. Non una corrente. Non un’onda. Come se il fiume fosse diventato occhio. Un occhio aperto. Un occhio che fissava.
Clara teneva stretta la mano della bambina. Nok non parlava più da ore. Guardava avanti. Come se sapesse esattamente dove stavano andando.
Dietro di loro, il caos.
Camion militari, antenne satellitari, ufficiali con facce stanche e sigilli dorati sulle giacche. Il governo era arrivato. Con le sue versioni, i suoi droni, i suoi protocolli.
Ma era troppo tardi.
Luca era furioso.
— «Stanno per usare cariche esplosive. Dicono che ci sono gas nel sottosuolo. Non credono a nulla.»
— «E se ci credessero,» rispose Clara, «sarebbe peggio.»
Alle 09:47 il fiume esplose.
Non fu un’esplosione normale. Non fu una bomba.
Fu come se qualcosa dal profondo si stesse liberando. Come se un mondo sotterraneo si fosse ribaltato verso la superficie.
L’acqua salì come una colonna, e nel mezzo, il Naga.
Immenso. Enorme. Bello. Terribile. Avvolto in squame ricoperte di alghe, con occhi di luce bianca e un corpo che sembrava scolpito nei secoli.
Ma non era solo materia.
Era forma e significato.
Gli uomini fuggirono. Le armi si bloccarono. Il panico prese il controllo.
Nok avanzò. Camminava nell’acqua, come se fosse nata lì.
Clara gridò, ma la bambina non si voltò.
Si fermò a pochi passi dalla creatura.
Alzò un disegno.
Una spirale. Ma stavolta aperta.
Il Naga abbassò la testa. Si avvicinò. I suoi occhi si fermarono su di lei.
Luca registrava tutto. Clara tremava. Le mani insanguinate, le ginocchia coperte di fango.
Poi, un boato.
Dal lato thailandese, le cariche esplosero.
Una collina franò. Il fiume si contorse. Il Naga ruggì — non con la voce, ma con il mondo intorno.
Onde alte come muri travolsero la riva.
I militari vennero spazzati via.
Le torri crollarono.
La sabbia tremò.
Quando Clara si rialzò, Nok era scomparsa.
Nessun corpo. Nessuna traccia. Solo l’acqua… e la spirale disegnata nel fango.
Ore dopo, sotto un cielo pulito come vetro, Clara e Luca si sedettero tra i resti.
Il Mekong era tornato a scorrere. Ma era cambiato.
— «Abbiamo fatto la cosa giusta?» chiese lui.
— «No.»
Clara sorrise, amaro.
— «Ma almeno l’abbiamo raccontata.»
Sul suo telefono, un messaggio automatico di un server remoto:
"Backup caricato. Video disponibile."
Il Naga. La bambina. L’occhio.
Qualcosa di antico era stato visto.
E forse… non si sarebbe più fatto dimenticare.