ANDAMANE: L’ISOLA CHE NON RISPONDE

"Otto naufraghi. Un’isola dimenticata. Nessuna via d’uscita."


PREFAZIONE

All’inizio era tutto perfetto. Otto ragazzi, quattro coppie affiatate, un viaggio verso sud, direzione tropici, a bordo di uno yacht privato. C’era il sole, la musica, il sale sulla pelle, e quella sensazione inebriante di essere altrove, lontano da tutto.
Stavano per raggiungere una meta nota, una di quelle spiagge sempre affollate, rumorose, piene di luci e insegne, dove la notte non finisce mai e la sabbia ha il sapore dolciastro dei cocktail rovesciati.

Poi, la tempesta.

Quando riaprirono gli occhi, la sabbia c’era ancora. Ma tutto il resto… no.
Nessuna musica. Nessun hotel. Nessun turista.
Solo una spiaggia vuota, palme immobili e il rumore di un mare stranamente silenzioso.

All’orizzonte, un edificio. Sembrava un vecchio resort dimenticato da tempo. Eppure, dentro, le luci erano accese.
Alla reception, una chiave. Il loro nome.
Come se li stessero aspettando.

Quel che sembrava un errore di rotta si trasforma presto in un enigma.
L’isola non ha nome. O forse ce l’ha, ma non vuole dirlo.
Le mappe non aiutano. I telefoni non servono.
E il tempo... non funziona come dovrebbe.

Ognuno dei sopravvissuti porta con sé qualcosa. Un ricordo, una colpa, un dubbio.
E l’isola lo sa.
Lo amplifica. Lo riscrive.

Benvenuti in Andamane – L’isola che non risponde.
Dove nulla è come sembra.
E nessuno arriva davvero per caso.


I PROTAGONISTI

Andrea
Lo chiamano il “capobranco”, anche se non se lo è mai scelto. Carismatico, brillante, con la risposta pronta e la battuta in tasca. Ma c’è qualcosa nei suoi occhi che non torna.
Qualcosa che l’isola sembra riconoscere.

Emma
La razionale del gruppo. Laureata in psicologia, ama avere tutto sotto controllo. Ma su quell’isola, la mente inizia a tradirla. E quando la logica non basta più… cosa resta?

Tommaso
Il nerd dal cuore grande. Esperto di informatica, crede solo nei dati. Fino a quando scopre che i dispositivi sull’isola… funzionano come se fossero programmati. Ma da chi?

Giorgia
Sensibile, empatica, eppure inquieta. Ha sempre avuto sogni strani, ma qui quei sogni sembrano prendere forma. E hanno voce. E la chiamano per nome.

Luca
Cinico, lucido, con una diffidenza che spesso lo isola dal gruppo. Ma forse è proprio questo che lo tiene in vita. O forse è l’unico che ha già capito cosa sta succedendo.

Martina
L’eterna mediatrice. Cerca di mantenere l’armonia nel caos, di tenere uniti i pezzi. Ma quando le maschere iniziano a cadere, dovrà capire se il suo ruolo è reale… o assegnato.

Federico
Impulsivo, instabile, in fuga da qualcosa che non ha mai voluto confessare. Sull’isola, tutto torna a galla. E stavolta non c’è via d’uscita. Né da sé, né dagli altri.

Alessia
Silenziosa. Osserva più di quanto dica. Nessuno sa davvero da dove venga, o cosa faccia. Ma è l’unica che non sembra sorpresa. L’unica a non fare domande.
Forse… le conosce già tutte.


«Non siamo naufragati.
Siamo stati convocati.»


EP.1: LA SABBIA SOTTO I PIEDI

All’inizio era solo luce.

La luce bianca, feroce, del Sud. Quella che taglia la pelle, che fonde i contorni. Una luce troppo forte per essere accogliente, troppo pura per sembrare vera.

Otto ragazzi. Quattro coppie affiatate. Ventenni e trentenni cresciuti con il mondo tra le mani, figli di imprenditori, investitori, startupper, ex modelli, influencer ormai ritirati. Viaggiatori seriali con passaporti gonfi di timbri e cuori leggeri come i trolley griffati.

A bordo dello yacht privato – un gigante d’acciaio e vetro salpato da Langkawi in direzione Phuket – l’atmosfera è quella tipica delle vacanze di lusso: champagne nel ghiaccio, playlist selezionata, battute e selfie, abbracci ostentati e promesse di “staccare da tutto”.

È Emma la prima a notarlo. La linea all’orizzonte si spezza. Il cielo si muove in modo strano, come se tremasse. Andrea le tocca il braccio, la distrae. "Relax. È solo mare." Ma Emma continua a fissare. E il mare, in effetti, non sembra mare.

Tommaso, il nerd del gruppo, chiude il tablet con la mappa del meteo satellitare. C'è una massa in movimento, un vortice nel Mare delle Andamane. I modelli sono incerti. Ma la voce di Giorgia lo interrompe: "Stiamo andando incontro a qualcosa?"

Nessuno risponde. Il vento cambia. La musica si abbassa. E poi… il buio.

Non un semplice blackout. Un buco nero. Il tempo si spezza. Le immagini si frantumano come vetri.

Quando Andrea apre gli occhi, c’è sabbia. Sotto i piedi, incrostata nelle ciglia. Un sapore salato e metallico sulla lingua. Il cielo è limpido, quasi fastidiosamente limpido. L’aria immobile.

Attorno a lui, altri corpi. Alcuni che si muovono, altri che respirano appena. Una coppia manca all’appello.

Il mare è alle spalle. Più calmo di quanto dovrebbe. Di fronte, una giungla. Fitta. Finta? Gli alberi sembrano troppo dritti, troppo silenziosi.

Alessia si alza, pulendosi meccanicamente le mani. Osserva tutto senza dire nulla. È l’unica a non sembrare sorpresa. Come se… fosse già passata di lì.

I telefoni sono morti. Bagnati, inutili. Ma uno, quello di Luca, si accende. La batteria è al 3%. Nessuna rete. Nessun GPS. Solo un’immagine come salvaschermo: una spiaggia affollata, luci al neon, insegne in tailandese, data 15 agosto 1997. Lui non ricorda di averla mai scaricata.

Camminano lungo la costa. Cercano un punto di riferimento. Ed eccolo lì: un cartellone arrugginito, mezzo sepolto nella sabbia. “Patong Beach – Welcome to the Party Island!”. Ma le lettere sono scolorite. Il volto del DJ in posa sul manifesto è quello di un giovane... morto in un incidente nel 2002. Tommaso lo riconosce. Lo aveva studiato per un podcast sulla cultura clubbing.

“È Phuket,” dice Martina, incerta. “Dev’essere.”

Ma qualcosa non torna.

Gli hotel non ci sono. Le luci nemmeno. Nessun turista, nessuna barca all’orizzonte. Solo palme immobili, e il suono di un mare stranamente privo di vita.

In lontananza, una baracca. Sembrerebbe abbandonata, se non fosse per un vecchio televisore acceso dentro. Immagini in bianco e nero scorrono in loop. Uno spot pubblicitario ripete in tailandese:

“Benvenuti a Patong. Dove tutto è rimasto com’era.”

Emma si avvicina. Una corrente elettrica... c’è. Ma da dove arriva?

Poi, l’uomo.

Appare come uscito da un film. Camicia a maniche corte, pantaloni color sabbia, occhiali da sole a specchio e capelli impomatati. Potrebbe essere un tassista. Anni ’80. Gli occhi sono vitrei, come se guardassero oltre.

In mano ha una chiave. Di ottone. Vecchio stile. Un numero inciso: 204.

Parla con una voce bassa, monotona, quasi registrata.

“L’hotel vi aspetta.”

Emma fa un passo indietro. Federico scuote la testa: “Siamo in uno scherzo? È uno scherzo?”

Andrea prende la chiave.

E senza saperlo, riattiva il ciclo.


EP.2: NESSUNO HA PRENOTATO

Il sole è ancora alto, eppure sembra filtrare da una dimensione inclinata. L’aria ha un retrogusto di plastica fusa, come se il paesaggio fosse stato ricostruito da zero, imperfettamente.

I ragazzi si guardano intorno, ancora storditi. La spiaggia è immobile, il mare piatto come una pellicola. Emma sente un leggero ronzio metallico, costante, appena sotto la soglia dell’udibile. Come un monitor acceso in una stanza vuota.

L’uomo non ha mai smesso di guardarli. Non sorride. Non mostra emozioni. Indica un furgoncino Toyota bianco, con una decalcomania quasi completamente scolorita sul cofano:
“Patong Paradise Resort – since 1984”

Luca si avvicina al veicolo e lo tocca con diffidenza. Il cofano è caldo. Il motore spento. Eppure... sentono un leggero sobbalzo sotto i piedi. Come se qualcosa avesse appena acceso il set.

“È un allestimento,” mormora. “Una messinscena.”

Martina guarda Emma. “O andiamo... o restiamo bloccati.”

Andrea fa un cenno. Sei dei ragazzi salgono sul minivan. Tommaso e Giorgia no. Decidono di restare sulla spiaggia. “Cerchiamo gli altri,” dicono. Ma nessuno li ascolta davvero.

Il furgone avanza lentamente su una strada sterrata. Non compare su nessuna mappa offline. Le piante a bordo strada sembrano ripetersi, identiche, come un loop grafico mal renderizzato. Ogni curva è la stessa. Ogni cartello è lo stesso: nessuna indicazione, nessuna direzione.

Dopo quasi un’ora, la strada sale. Sulla collina, tra le fronde, appare la sagoma di un hotel. O quel che ne resta.
Patong Paradise Resort & Spa.

La scritta al neon lampeggia, ma non regolarmente. È come se cercasse di ricordarsi chi era. I vetri sono opachi, le tende tirate. Ma da alcune finestre si intravede una luce. Calda. Innaturale.

Scendono. Il tassista non li accompagna. Rimane nel furgone, con lo sguardo fisso davanti a sé. Le mani sul volante. Immobili.

La reception è sorprendentemente... funzionante.

Una donna in tailleur grigio li accoglie. Elegante, truccata, con un portamento da hostess d’altri tempi. Il viso tirato in un sorriso che non cambia mai, anche mentre parla.

“Benvenuti. Siete in ritardo per il check-in. Ma vi aspettavamo.”

Emma si irrigidisce. “C’è stato un naufragio. Nessuno sapeva che saremmo arrivati.”

La donna inclina la testa, come se stesse processando la frase. Poi risponde:

“Ma questo posto… non riceve prenotazioni. Sceglie gli ospiti da solo.”

Andrea sente un fremito. Come se qualcosa nella frase avesse toccato una parte sepolta di sé. Ma lo ignora.

Sul bancone, un libro degli ospiti. Pagine ingiallite.
Ma le firme… sono le loro.
Andrea. Emma. Federico. Luca. Martina.
Stessa grafia. Stessa data. Oggi.

Tommaso non è tra i nomi. Né Giorgia.

Le stanze sono già assegnate. Senza chiavi. Le porte si aprono da sole.
Andrea trova la 204. Quella indicata dal tassista.

Dentro, la stanza ha qualcosa di fuori tempo. Arredi in stile coloniale, ventilatore a pale, moquette verde. Sopra il letto, uno specchio annerito. E una Polaroid.

Ritrae Andrea. È seduto accanto a una donna che non riconosce. Ma sembra... felice. Troppo. Quasi innaturale.

Sul retro, una scritta con una penna rossa:
“Hai già fatto questo errore. Non rifarlo.”

Andrea si siede sul letto. Sente sotto le assi un battito regolare. Come un cuore. Ma il pavimento è freddo.

Sulla spiaggia, intanto, Tommaso e Giorgia esplorano. Seguono orme che non sono le loro. Orme che portano verso una parete rocciosa. Tra le rocce, un’apertura: un bunker di cemento, semi-sommerso.

Dentro, cavi esposti, pareti umide, e una radio. Funzionante. Ma non emette musica. Solo una voce, metallica, ripetuta ogni 108 secondi:

“Non è Phuket. Non è mai stata Phuket.”

Tommaso cerca di capire da dove arriva il segnale. Ma non c’è antenna. Non c’è fonte. La radio è alimentata… da cosa?

Poi si accende da sola. E recita nomi. I loro. In ordine alfabetico. Con accanto delle date.

Giorgia si avvicina all’ingresso del bunker. Sul cemento, inciso a mano, un simbolo: un occhio. Al centro dell’occhio, una clessidra.

Andrea, nella stanza 204, accende la TV. Schermo a tubo catodico. Solo un canale. Ripete un video:
Otto ragazzi su una spiaggia. Loro. Ma visti dall’alto. Ripresi da un drone.

Eppure... nessuno di loro ha mai avuto un drone.


EP.3 : LA CHIAVE 204

La notte sull’isola è strana. Non scende come un’ombra, ma come una tenda tirata all’improvviso. Nessun crepuscolo. Nessun tramonto. Solo uno schiocco, e poi il buio.

All’interno del Patong Paradise Resort, le luci continuano a funzionare. Lampade a incandescenza, neon tremolanti, applique anni ’80. Ma nessuno trova il generatore. Nessuno sente il minimo ronzio elettrico.

Martina si chiede da dove arrivi tutta quell’energia. Luca le risponde che dev’essere un impianto solare. Ma lo dice senza convinzione. Nessuno ha visto pannelli. E poi… perché ci sarebbe ancora corrente nei cassetti? (Emma ne ha aperto uno, e la luce si è accesa dentro.)

Andrea non dorme. È seduto sul bordo del letto, la chiave 204 tra le dita. La guarda, la rigira. Il metallo ha preso il calore della sua pelle. È come se respirasse.

Poi si alza. Apre la porta della camera. Cammina per i corridoi del resort. Non ci sono telecamere visibili, eppure sente il peso di uno sguardo. Ogni passo sembra più lento, come se il pavimento volesse trattenerlo.

Arriva all’ala nord dell’hotel. È chiusa. Ma non bloccata. La maniglia è fredda, l’aria oltre è stantia.

Sfila la chiave 204 dalla tasca. Non serve a quella porta. Eppure... si apre.

Dentro, un corridoio lungo. Tappezzeria verde muschio, strappata in più punti. Le pareti sembrano sudare. Alcune lampadine al neon tremolano. Il tappeto è umido. Odore di muffa e di ferro.

Cammina fino alla porta 204. Un’altra. Uguale a quella della sua stanza. O forse è la stessa. O forse... è la prima.

Appoggia la chiave sulla toppa. Ma la porta si apre da sola.

Dentro, un’aria pesante. Mobili coperti da lenzuola. Polvere che danza nel cono di luce arancione filtrata dalle veneziane rotte.

Sul letto: una valigia moderna. Nuova. Ha il suo nome stampato sulla targhetta.

La apre. Dentro, una camicia che aveva perso anni fa. Un paio di occhiali rotti. Un vecchio lettore mp3 con una sola traccia salvata:
204 – LOOP START.wav

E una videocassetta. Etichetta scritta a mano:
“NON GUARDARE DA SOLO”

Andrea si irrigidisce. Guarda attorno. C’è un videoregistratore integrato nella TV. Clicca play.

L’immagine è disturbata. Ma poi si stabilizza.
Compare il suo volto. Più vecchio. Più stanco. Ma è lui.

“Se stai guardando questo,” dice, “allora sei già stato qui. Ma questa volta... non potrai più uscire.”

Andrea resta immobile. La videocassetta si riavvolge da sola. L’immagine torna nera. Ma ora… sullo schermo riflesso vede qualcosa alle sue spalle.

Si gira. Nulla.

Solo uno specchio. Che non riflette.

Sulla spiaggia, Giorgia e Tommaso sono nel bunker. La radio è ancora accesa. Riescono finalmente a regolare la frequenza. Ma invece di un SOS, parte una voce maschile, meccanica, come un messaggio pre-registrato:

“Sequenza ciclo cinque in corso. Monitoraggio attivo. Protocollo 204 operativo. Nomi rilevati: Giorgia M., Tommaso C. Stato: svegli.”

Giorgia guarda Tommaso. “Ha detto ‘svegli’.”

Tommaso si alza. Tira fuori il drone dallo zaino. È ancora carico. Parte. Si alza in volo.
10 metri. 20. 30. 42.
Poi il video si ferma.
Nessuna immagine. Nessun segnale. Il drone resta sospeso a mezz’aria. Non scende. Non sale.

“Come se… fosse incastrato in qualcosa,” dice.

Giorgia, intanto, nota qualcosa sulla sabbia: orme. Ma non sono le loro. Né fresche, né antiche. Hanno qualcosa di geometrico. Come stampate.

Seguono le tracce. Fino a un piccolo promontorio.

Lì, seminascosta tra le rocce, una barca naufragata. Uguale alla loro. Stesso modello. Stesso nome sullo scafo.
Ma invecchiata. Legno scolorito, metallo arrugginito. Come se fosse lì da… decenni.

All’interno, un cuscino. Ancora umido. Un diario aperto. Ultima frase leggibile:

“Se vedi te stesso… non fidarti.”

Nel resort, la donna della reception guarda tutto da un vecchio monitor a tubo catodico, in una sala di controllo. Ha centinaia di pulsanti. Nessuno con etichette.

Sorride. Clicca un interruttore.

In tutte le stanze del resort, le sveglie si accendono contemporaneamente.
204.
2:04.

Ma nessuno le ha regolate.


EP. 4: L’ASCENSORE

Emma si sveglia di colpo. Respira affannosamente. Il cuore le batte in gola. Per un attimo, non ricorda dove si trova. Ma poi il soffitto le risponde. Stile vagamente coloniale, crepe minuscole a forma di ragnatele. Stanza 206. O forse 203. O forse nessuna stanza.

La sveglia sul comodino segna 2:04 AM. Anche se fuori è giorno pieno.

Si alza. Cammina verso il corridoio. Le luci lampeggiano con un ritmo preciso. 2, pausa. 0, pausa. 4.

Emma non è mai stata incline al panico. Ma ora sente qualcosa che non riesce a razionalizzare. Come se l’ambiente intorno a lei stesse testando la sua tenuta mentale. Un labirinto costruito per indurla a reagire.

Mentre attraversa l’atrio, nota che la porta dell’ascensore è semiaperta. Non l’aveva mai vista prima. Sembra incastrata tra un piano e l’altro, ma il pannello di comando è acceso. Un solo pulsante disponibile. Non “SU”, non “GIÙ”. Solo un simbolo: .

Si ferma. Guarda a destra. Nessuno. A sinistra. Silenzio.

Poi preme.

L’ascensore si chiude con uno scatto meccanico. Nessun rumore di cavi o contrappesi. Solo un clic sordo, come l’attivazione di una funzione remota. Il display interno è rotto. La luce al neon è instabile.

Inizia la discesa.

Ma non è una discesa normale. Non c’è sensazione di movimento. Piuttosto, sembra che sia l’ambiente attorno a Emma a cambiare. I rumori si dissolvono. L’aria si fa densa. Il tempo si allunga.

Poi si ferma.

Le porte si aprono su un corridoio in cemento grezzo. Umido. Mal illuminato. Sul muro, una scritta tracciata con vernice nera:
“Non siete i primi. Ma potete essere gli ultimi.”

Emma cammina. Ogni passo risuona come in una stanza vuota. A ogni angolo, una telecamera senza lente. O forse... con lenti puntate all’interno.

Trova una stanza. Dentro, schermi accesi. Mostrano le stanze del resort. Le camere. I corridoi. La spiaggia. I sopravvissuti. Visti dall’alto, come in un reality disturbante.

In un angolo, una scrivania in metallo. Su di essa, un faldone polveroso. Etichetta incollata male:
“Ciclo 5 – Attività del gruppo / Ripristino parziale.”

Emma apre.
Dentro, fotografie. Alcune ingiallite. In una, lei stessa… ma con i capelli più corti. Sorridente. Vestita in modo diverso. Sul retro della foto, scritto a penna:
“Emma R. – Data: 2007 – Test Loop 3 – Reazione precoce: isolamento.”

Sfoglia ancora. Andrea – annotato come “elemento irregolare”. Tommaso – “tecnico di backup”. Federico – “fallimento empatico in corso”. Alessia – nessuna origine. “Non inserita. Presente all’avvio.”

Emma lascia cadere il fascicolo. Barcolla indietro.

Nel frattempo, fuori dall’hotel, Giorgia sente una voce. Non nella sua testa. Nell’aria. Come amplificata da un vecchio altoparlante.
Una voce che cambia tono, volume, accento. Come un algoritmo che sta cercando la giusta forma per raggiungerla.

“Giorgia. Ricorda la scalinata. Ricorda il mare. Ricorda la tua scelta.”

Lei si gira. Ma non c’è nessuno.

Tommaso, nel bunker, ha aperto un vecchio portatile trovato nella barca arrugginita. Lo schermo funziona.
Un solo file.
EXIT_SIM.exe

Lo apre.

Appare una schermata nera. Una domanda lampeggia in bianco:

“Uscire dal ciclo potrebbe cancellarti. Continuare?”

☐ SÌ
☐ NO

Il cursore lampeggia su NO. Ma il mouse non si muove. Il touchpad non risponde.

Poi, da solo, lo schermo cambia. E appare un volto. In bianco e nero. Granuloso. Ma chiaramente… Emma. La sua faccia, ma più giovane. E parla:

“Non premere. Non ancora.”

Poi lo schermo torna nero.

Tommaso si alza di scatto. Ma alle sue spalle… non c’è più l’uscita.

Emma torna nel corridoio. Cammina più in fretta. I neon iniziano a spegnersi, uno dopo l’altro, come un countdown.

Arriva a un pannello con una leva. Sopra, inciso nel metallo:
“AZZERA MEMORIA EMOTIVA – Solo personale autorizzato”

Alza la mano. Tocca la leva. Sente un impulso elettrico attraversarle il braccio. Un’immagine le balena negli occhi: una spiaggia affollata. Lei che scappa. Una donna che urla il suo nome.

Toglie la mano di scatto. Si piega in avanti. Respira a fatica.

Sente dei passi. Ma quando si gira, il corridoio è vuoto.

Sulla spiaggia, Giorgia e Federico trovano uno specchio. Alto. Incastrato nella sabbia come un monumento. Ma il riflesso… è sbagliato.

Nel vetro, otto figure. Ma non sono loro. Sono versioni più vecchie. Più provate. Giorgia ha una benda sull’occhio. Andrea ha la barba bianca. Martina sembra stanca. Alessia... sorride. È l’unica.

“Questo non siamo noi,” sussurra Giorgia.
“No,” dice Federico. “Questo… è dopo.”

Poi la sabbia si muove. Vibra. Un suono emerge, profondo, grave. Come un cuore che batte sotto la terra.

Nel riflesso, le versioni “più vecchie” di loro iniziano a muoversi. Ma i corpi reali restano fermi. È lo specchio a vivere.

Emma, nel corridoio, apre una porta. Dietro: un'altra versione di sé, seduta, che scrive su un quaderno. Ha gli occhi vuoti. Ma le mani tremano.

Sul muro, scritto con inchiostro fresco:
“204.5 – Memoria parziale attivata.”

Emma guarda il suo doppio. E inizia a ricordare.

Ma qualcosa le dice che… non dovrebbe.



EP. 5: RESET

Emma preme il pulsante.

L’ascensore sobbalza. Poi scende. Lentamente. Le pareti vibrano, ma il movimento è innaturale. Come se fossero loro – i passeggeri – a essere trasportati altrove, più che verso un piano inferiore.

Le luci si affievoliscono. Non c’è musica d’attesa, ma un suono ritmico, inquietante. Un ticchettio regolare, simile a un battito cardiaco artificiale. Forse è solo nelle sue orecchie. O forse è nel sistema.

Quando le porte si aprono, Emma si ritrova in un corridoio angusto. Pareti di cemento armato, umide, coperte da muffa e ruggine. I tubi vibrano silenziosamente, come se trasportassero più pensieri che liquidi.

Una scritta a vernice nera campeggia sul muro, mezza cancellata dall’acqua:

“Non siete i primi. Ma potete essere gli ultimi.”

Il soffitto è basso. La luce intermittente. Cammina piano. Le scarpe lasciano impronte leggere, come se il pavimento le volesse trattenere. In fondo, una porta metallica. Aperta. Dentro, un ambiente che non dovrebbe esistere sotto un resort tropicale.

Una sala di controllo. Computer vintage, schermi a tubo, stampanti a aghi, macchine per nastro magnetico. Ma tutto funziona perfettamente. Gli schermi trasmettono immagini in diretta:
– l’atrio dell’hotel
– la spiaggia
– la baracca con la TV
– le camere
– la stanza 204
– l’interno del bunker

Una vista dall’alto mostra addirittura la mappa completa dell’isola. Ma ci sono aree oscurate. Zone senza etichetta. Blocchi neri. Come se qualcosa – o qualcuno – avesse deciso di non mostrarle.

In un angolo, una scrivania con un fascicolo aperto:
Ciclo 5 – Attività del gruppo / Ripristino parziale

Emma lo sfoglia. Dentro, fotografie sbiadite. Annotazioni scritte a mano. Ma non da una sola persona. Calligrafie diverse, penne diverse. Come se fossero state aggiornate da decine di “osservatori”.

Una foto la ritrae. Ma ha un’espressione diversa. Più cinica. Più stanca. Dietro, una scritta:
“Emma R. – Ciclo 3 – Fallimento parziale. Frammenti emotivi instabili.”

Ne trova altre.
– Tommaso: “Assegnato a ruolo tecnico. Ricade nel loop con tendenza al sabotaggio. Reimmettere.”
– Andrea: “Caso limite. Nessun tracciamento originario. Anomalia persistente.”
– Alessia: “Non inserita. Presenza autonoma. Ignorare se possibile.”

Emma appoggia la mano sul tavolo. Sente un brivido salire lungo la schiena. Ma non è freddo. È memoria. Qualcosa dentro di lei si sta attivando.

Nel bunker, Tommaso guarda ancora il portatile.
EXIT_SIM.exe è ancora aperto. Il cursore lampeggia sulla scelta:

“Uscire dal ciclo potrebbe cancellarti. Continuare?”

☐ SÌ
☐ NO

Il mouse non funziona. Il touchpad è morto. Ma una mano sconosciuta – fuori campo – si avvicina al cursore. Clic.
NO.

Lo schermo si spegne.

Ma non prima di mostrare un’immagine per un secondo: il volto di Tommaso, più anziano, seduto proprio lì. A guardare se stesso fare lo stesso errore.

Federico e Giorgia, sulla spiaggia, hanno trovato uno specchio incastrato nella sabbia. Ma ora… non riflette più.

Nel vetro ci sono otto figure. Ma diverse. Sono loro, sì. Ma invecchiati. Mutati. Come copie deteriorate.

Giorgia ha l’occhio bendato. Federico ha una cicatrice sul mento. Andrea è in piedi, ma sembra… spento.

“Questo non siamo noi,” dice Giorgia.
“No,” sussurra Federico. “Questo… è dopo.”

Attorno allo specchio, la sabbia comincia a muoversi. A vibrare. Un suono profondo, simile a un motore sottomarino, si propaga da sotto terra.

Poi… emerge un braccio.

Pelle chiara, dita lunghe, unghie perfette. Non una creatura. Ma una replica. È un secondo Federico. Uguale in tutto. Ma con gli occhi vuoti.

“Questo ciclo è stato compromesso,” dice la copia, con voce identica.
“Procedo con la sostituzione.”

Il vero Federico indietreggia. La sabbia si chiude dietro di lui.

Emma, nella sala comandi, trova un altro pannello. C’è una leva incassata nel metallo. Etichetta:

AZZERA MEMORIA EMOTIVA – SOLO PERSONALE AUTORIZZATO

La guarda. Riflessa sul metallo, vede per un istante il volto di sua madre. Sorridente. Poi svanisce.

La tocca.

Scossa elettrica. Impulso. Urlo. Crolla a terra.

Su uno degli schermi, la sua immagine si sdoppia. Ora ci sono due Emma. Una attiva. L’altra seduta in una stanza bianca, a scrivere qualcosa su un diario. Una scritta lampeggia sullo schermo:

“Codice 204.5 – Memoria parziale attivata.”

Emma si rialza. Gli occhi vuoti. Ma qualcosa… sta tornando.

Ricordi in frantumi. Una spiaggia. Una decisione. Una firma. Una voce che le diceva: “Ti servirà solo per tre giorni. Poi torni.”

Solo che... non è mai tornata.

Nella stanza 204, Andrea si risveglia.

C’è un corpo sul letto. Lo guarda. Lo scopre.

È se stesso. Ma più vecchio. Immobile. Morto?

Accanto, un biglietto scritto a mano:

“Ogni ciclo crea una copia. Ma solo una può restare.”

Andrea si guarda le mani. Ha delle cicatrici che non ricorda. Una sulla mano destra. Una sul collo. E sotto la pelle… una leggera linea. Come una cerniera.

Fuori dalla finestra, il mare è nero. Ma luccica.

E sulla spiaggia… una nuova barca si sta avvicinando.



EP. 6: EXIT_SIM

Nel cuore della notte, quando anche il mare sembra trattenere il fiato, Andrea cammina scalzo lungo il corridoio dell’hotel. Non sa dove sta andando. Ma il corpo sì. Come se fosse stato già lì, cento volte.

Ogni tanto si ferma. Si guarda le mani. Le cicatrici. Poi la pelle del collo, quella linea sottile che prima sembrava una vena. Ora è più visibile. Come una cerniera. Come un’apertura tecnica.

Arriva davanti a una porta senza numero. Solo un simbolo inciso nel legno:
Lo riconosce. L’ha sognato. L’ha visto nel diario. L’ha... disegnato lui stesso, da bambino. Ma non ricorda quando.

Apre la porta.

Dentro: uno studio clinico. Letti da ospedale. Macchine per EEG, elettrodi appesi, flebo vuote. Una parete piena di cartelle cliniche.

Al centro della stanza, una lavagna digitale. Accesa. Un’interfaccia rudimentale.

> FILE: EXIT_SIM.EXE
> Stato: sospeso
> Ultimo accesso: Tommaso (Unità T5)

Sotto, un log automatico. Frasi sparse:

  • “Andrea si è svegliato prima del previsto.”

  • “Alessia non risponde più ai comandi di routine.”

  • “Giorgia ha intercettato il protocollo #53.”

  • “Una Emma è in doppia esecuzione. Necessaria risincronizzazione.”

Andrea legge. Scorre. Capisce. O almeno... inizia a.

Poi si specchia. Ma non c’è riflesso.
Solo un codice lampeggiante: USR_204_ANOMALY
E una domanda:

“Vuoi tentare l’uscita?”
☐ SÌ
☐ NO

Le opzioni sono in grigio. Non selezionabili.

Ma sul fondo dello schermo... una nuova voce si inserisce:

“Una copia ha scelto di uscire. È in corso un reset parziale. Fermalo, se vuoi restare.”

Andrea sussurra: “Fermare chi?”

Alle sue spalle… una porta si apre da sola.

Nel frattempo, Tommaso è tornato al bunker. Sta cercando di accedere manualmente alla rete dati. È stanco. Ma lucido come non lo è mai stato.

Ha capito che ogni azione è un test. Ogni reazione è registrata. Ma cosa accadrebbe se iniziassero a comportarsi in modo imprevedibile?

Collega un vecchio modem via cavo. Un bip. Un rumore metallico.

Si accende una schermata.
“Benvenuto, utente T5. Sei fuori protocollo.”

Tommaso sorride.

“Bene. Allora cambiamo le regole.”

Scrive un comando a caso.
override_protocol_204=true

La risposta tarda. Poi:

“Override accettato. L’ambiente non risponderà come previsto.”

Un’altra frase appare:
“Attenzione: le copie stanno imparando.”

Emma, ancora nel seminterrato, trova una porta con accesso biometrico. Appoggia la mano. Il lettore accetta. Si apre.

Dentro: una stanza vuota. Tranne per un pannello a specchio. Dentro lo specchio: lei. Ma vestita come il giorno della partenza. Lo zaino, gli occhiali da sole, l’orologio. L’originale?

La voce meccanica parla dallo specchio.

“Vuoi tornare a com’eri? O vuoi scoprire cosa sei diventata?”

Emma tace. Poi sussurra:

“Voglio sapere chi ha iniziato tutto questo.”

Lo specchio si frantuma. Ma non in pezzi. In immagini.
Scene. Luoghi. Momenti cancellati.
Una firma su un contratto.
Una stanza sterile con pareti bianche.
Una scritta:
“Volontaria. Ciclo limitato. Ricordo disattivato.”

Emma crolla in ginocchio. Sente le lacrime. Ma anche... la rabbia.
Per la prima volta. Reale.

Federico, sulla spiaggia, guarda l’orizzonte. La barca che si avvicina ha una luce verde. Come se non fosse parte del mondo.

Giorgia gli si avvicina.

“Forse possiamo andarcene,” dice.

“No,” risponde lui. “Forse possiamo mandare via qualcuno. Ma non so se siamo noi.”

Lo specchio alle loro spalle ora è spento. Ma una nuova immagine si forma sulla sabbia: una X gigante. Disegnata dal vento? O da qualcun altro?

Andrea entra nella stanza oltre la porta.

Dentro: una sala operatoria. Otto letti. Sette occupati.
Nei letti: loro stessi. Dormienti. Collegati a caschi VR. Fermi. Congelati.

In piedi, davanti ai letti: Alessia.

“Benvenuto,” dice. “Se sei qui, vuol dire che stai iniziando a ricordare.”

Andrea la guarda. Non riesce a parlare.

“Non dovevamo risvegliarci. Nessuno doveva. Ma il sistema è lento. E ogni tanto... ci dimentica.”

Andrea fissa il suo corpo addormentato.

“Questo è un sogno?” chiede.

“No. È un test.” Alessia sorride. “Ma ora… possiamo anche sbagliarlo.

La sala comandi in superficie va in blackout.
Le telecamere smettono di trasmettere.
I monitor lampeggiano.
Una voce automatica:

“ANOMALIA 204 – RIPRISTINO NON RIUSCITO.”

“FINE SIMULAZIONE NON AUTORIZZATA.”

E poi:

“INIZIO CICLO 6.”

Ma qualcosa non parte.



EP. 7: IL FRAMMENTO

Emma si risveglia nella sala operatoria sotterranea, dove aveva visto i corpi dormienti dei suoi compagni. Ma ora, i letti sono vuoti. Le macchine spente. Solo il suo corpo giace ancora lì, immobile, collegato a un casco VR.

Si avvicina al terminale centrale. Lo schermo lampeggia con una nuova interfaccia:

ACCESSO LIMITATO – FRAMMENTO 7.1 RILEVATO

Emma digita una sequenza casuale. Lo schermo risponde:

“Benvenuta, Emma. Sei pronta a ricordare tutto?”

Un impulso attraversa la stanza. Le luci si abbassano. Una voce, la sua voce, emerge dai diffusori:

“Hai scelto di dimenticare. Ma ora, la scelta è tua.”

Emma sente un dolore acuto alla testa. Immagini frammentate: una firma su un contratto, una stanza bianca, una voce che le dice: “Tre giorni, poi torni.” Ma non è mai tornata.

Sul terminale, una nuova opzione appare:

[RIPRISTINA MEMORIA COMPLETA]

Emma esita. Poi preme.

Un flusso di dati invade la sua mente. Ricordi, emozioni, decisioni. La consapevolezza di essere parte di un esperimento. Di aver accettato volontariamente. Di essere stata osservata, testata, manipolata.

Ma ora, ha il controllo.

Nel frattempo, Tommaso e Giorgia si ritrovano nella sala comandi. I monitor mostrano glitch, immagini sovrapposte, cicli che si ripetono.

Tommaso: “Il sistema sta collassando.”

Giorgia: “O sta evolvendo.”

Sul pannello principale, un messaggio lampeggia:

“FRAMMENTO 7.1 ATTIVATO – ANOMALIA EMMA”

Tommaso digita rapidamente.

“Se Emma ha accesso al frammento, potrebbe guidarci fuori.”

Giorgia: “O potrebbe distruggerci tutti.”

Emma, ora completamente consapevole, si collega al sistema centrale. Una nuova interfaccia si apre:

“EMMA_ROOT – COMANDI DISPONIBILI”

Scorre le opzioni:

  • [TERMINA SIMULAZIONE]

  • [LIBERA COPIE]

  • [RESETTA SISTEMA]

Sceglie la seconda.

“Confermi di voler liberare tutte le copie?”

Emma preme .

Un’onda di energia attraversa l’isola. I personaggi si risvegliano, confusi, ma liberi. Le copie si dissolvono. Il sistema inizia a collassare.

Ma mentre tutto sembra finire, un ultimo messaggio appare sullo schermo di Emma:

“FRAMMENTO 8.0 – INIZIO NUOVO CICLO”

Emma sorride amaramente.

“Non c’è fine. Solo nuovi inizi.

EP. 8: IL NUOVO CICLO

Il cielo dell’isola è diventato viola.

Non è una metafora. È un viola denso, senza sfumature, come un errore di rendering nel cielo di un videogioco. Le nuvole non si muovono più. Il sole non ha più una direzione.

Eppure... tutto sembra più vero.

Emma cammina a piedi nudi sulla spiaggia. La sabbia è fredda. Ha lasciato il casco VR nella sala operatoria, insieme al corpo dormiente. Non sa se è ancora là sotto. Non vuole controllare. La sua testa pulsa. Non di dolore. Di memoria in eccesso.

Ha visto tutto. Tutti i cicli precedenti. Le reazioni, le regressioni, le manipolazioni. Ha letto i dati. Sa chi ha pianto, chi ha tradito, chi ha cercato di salvarsi sacrificando gli altri. Sa persino chi... non è mai esistito davvero.

Dietro di lei, l’hotel si è spento. La scritta “Patong Paradise Resort” ora lampeggia solo ogni 204 secondi. Una cicatrice nel sistema.

Giorgia è la prima a trovarla. Ha ancora gli occhi lucidi. Non ha dormito. Non riesce.

“Hai fatto qualcosa, vero?” le dice.

Emma annuisce. Guarda il mare.

“Ho liberato le copie. Ma alcune... non volevano essere liberate.”

“Questo è un sogno?”

“No. Questo è dopo il sogno. E forse peggio.”

Tommaso è cambiato. Da tecnico, è diventato osservatore. Ha passato la notte a leggere log di sistema su un vecchio monitor CRT recuperato dal bunker. Le stringhe non hanno senso compiuto, ma i pattern si ripetono. Un segnale.

Trova un messaggio diretto a lui. Non c'è firma. Solo:

“Se vuoi davvero uscirne, devi non credere più in niente. Nemmeno in te stesso.”

Chi lo ha scritto? Una versione precedente? Un algoritmo cosciente? Emma?

Lo copia su un pezzo di carta. Lo piega. Lo nasconde nel tacco della scarpa.

Nel vecchio teatro all’aperto del resort – quello che prima trasmetteva immagini registrate di finti ospiti felici – i sopravvissuti si riuniscono. Sono sei. O almeno... sei corpi. Perché le identità hanno iniziato a sovrapporsi.

Alessia non parla da ore. Fissa il cielo viola. Quando Andrea le chiede se sta bene, lei risponde:

“Io ero qui prima di voi. Ma non mi ricordo quando.”

Andrea sente un dolore al petto. Non fisico. Esistenziale.

In un sogno – o forse una memoria recuperata – ha visto Emma stringergli la mano davanti a una porta bianca. Gli diceva:

“Tre giorni. Poi ci svegliamo. Te lo prometto.”

Ma ora Emma non lo guarda più negli occhi.

Una nuova struttura è emersa vicino alla riva. Non c’era prima. O forse non la vedevano. È un padiglione trasparente, con pareti di vetro opaco e un’unica porta senza maniglia.

Sopra, una scritta digitale:

CICLO 6 – ACCESSO ADMIN

Giorgia si avvicina. Emma la ferma.

“Non puoi entrare. Non ancora.”

“E tu sì?”

“Io ci sono già entrata. Prima che tu arrivassi.”

Il silenzio che segue non è umano. È digitale. Un buffer in attesa.

Poi, la porta si apre. Ma solo per Emma.

Dentro, il padiglione è bianco. Clinico. Illuminato da una fonte di luce che non proietta ombra.

C’è una sedia metallica al centro. Su di essa, un visore nuovo. Diverso dagli altri. Sul monitor accanto, una domanda:

“Vuoi creare un nuovo ciclo?”

Emma resta immobile.

“Con che regole?” chiede a voce alta.

Il monitor cambia. Appare una lista:

  • Empatia disattivata

  • Memoria frammentata

  • Libero arbitrio parziale

  • Osservazione continua

  • Nessun salvataggio

  • Nessuna uscita

Emma sorride amaramente.

“Come sempre, allora.”

Ma poi nota un’opzione mai vista prima:

[RIBELLIONE SILENZIOSA: ATTIVA]

Nessuna spiegazione. Nessun manuale. Solo un interruttore.

Lo tocca.

Il vetro del padiglione si oscura. Sul monitor, l’interfaccia si spegne.
Poi, una frase:

“Il ciclo è tuo.”

Fuori, i sopravvissuti vedono Emma uscire.
Non dice nulla.

Ma ora la sabbia sotto i loro piedi è tiepida.

Il cielo ha smesso di cambiare colore. È fermo. Statico.

E nel vento… una voce.

“Ciclo 6.1 – Inizio osservazione. Nessuna istruzione disponibile.”
“Esperimento fuori controllo.”
“Attendere nuovi dati.”

Andrea guarda Emma.

“Che cosa sei diventata?”

Emma lo guarda. Con occhi che non sono più solo suoi.

“Non lo so. Ma questa volta… voglio scoprirlo insieme a voi.

E, per la prima volta, nessuno scompare.


EP. 9: IL MONDO DOPO

Anno sconosciuto.
Coordinate temporali e geografiche non disponibili.
Connessione rete: intermittente.
Status di realtà: non confermato.

La città è perfettamente simmetrica.

Tutti i palazzi hanno la stessa altezza. Tutti i semafori sono sincronizzati. Le persone camminano in ordine, in silenzio. Non c’è traffico. Non c’è rumore. Ogni tanto, un drone sorvola i tetti. Non si ferma mai.

I canali informativi trasmettono bollettini, non notizie.

“Temperatura controllata: 23°C.”
“Soglia emozionale collettiva: stabilizzata.”
“Nessun evento irregolare rilevato nelle ultime 48 ore.”

Il concetto di “evento” è stato eliminato. Non serviva più.

In un appartamento identico a mille altri, un uomo si sveglia. Si chiama Andrea, o almeno così lo chiamano i badge nelle sue giacche.

Ogni mattina riceve un pacchetto con le “memorie del giorno”: brevi clip da visualizzare per ricordarsi chi è, cosa deve fare, chi ama, chi ha perso.
Oggi il pacchetto è danneggiato. Le immagini si confondono.

Appare il volto di una donna. Occhi scuri. Determinati.

Emma.

Ma non dovrebbe esserci. Emma è stata cancellata.

Andrea sobbalza. Va al terminale. Digita il suo codice utente.

“Accesso negato.”
“Anomalia 204 – tracciato incerto.”
“Ripristino in corso.”

Si tocca il collo.
La linea è tornata.
Sottile, fredda. Una cerniera.

In una sala sotterranea, migliaia di persone dormono. Corpi stesi in capsule trasparenti. Visi rilassati. Tutti collegati a una rete.

Uno schermo centrale mostra l’avanzamento:

Ciclo 11 – Test Sociale su Scala Urbana
Status: In fase di stabilizzazione
Variabili attive: 8 (Emma. Andrea. Tommaso. Giorgia. Alessia. Luca. Martina. Federico)
Controllo Memoria: Parziale

Una figura si avvicina al pannello. Non ha volto. Solo una sagoma in controluce.
Attiva un nuovo protocollo.

“Simulazione 204+ estesa all’intera popolazione.”

Intanto, in un bar in periferia – uno dei pochi luoghi ancora non digitalizzati – una donna siede da sola. Legge un libro. Senza copertina. Senza titolo.

Il barista la osserva.

“Ti ho già vista,” dice.
“No,” risponde lei. “Ma forse mi hai sognata.”

Sorride.
È Emma.

Non ha più bisogno di nascondersi.

Non comanda più il ciclo.
Ma lo influenza.
Come un virus silenzioso.

Esce dal bar. Cammina tra le strade identiche. Ma dove passa, piccoli glitch iniziano ad apparire:

– un bambino ride fuori tempo
– un cane si ferma e abbaia contro il cielo
– un drone perde quota per un istante
– un monitor trasmette il mare

La realtà ha un respiro instabile.
E qualcuno, da qualche parte, sta iniziando a svegliarsi.

In una casa qualunque, Andrea guarda fuori dalla finestra.
Non vede nulla. Ma sente.

“Tre giorni,” mormora.
“Poi torniamo.”

Ma… tornare dove?


EP. 10: I RIMASTI

La vegetazione è più fitta. Le palme si sono avvicinate ai sentieri. I suoni sono più profondi: il canto degli uccelli è ora ritmico, quasi programmato. Le onde non si infrangono più: respirano.

L’hotel non c’è più.
O meglio: non c’è più nello stesso posto.
Chi lo cerca lo trova sempre un po’ più in là.
Più in alto. Più immerso.

Nel vecchio teatro, Alessia siede da sola. Parla a bassa voce. Ma non c’è nessuno. Eppure… qualcuno risponde. Una voce sottile. A tratti infantile.

“Tu non sei stata scelta. Sei comparsa da sola. Sei un errore?”

“O sono il backup?” risponde Alessia.

Sorride.

Nessuno ha mai saputo da dove fosse arrivata. Né chi l’avesse mandata. Lei dice di esserci sempre stata. Anche nei cicli senza isola.

Federico vaga lungo la costa. Non cerca via d’uscita. Osserva. Annota.
Su un quaderno logoro, scrive:

Ciclo 6.1 – giorno 23
Emma è andata via. Andrea anche.
Tommaso è scomparso. Ma i sogni dicono che sia entrato nel sistema.
Io resto.

Ogni mattina si sveglia in una stanza diversa. Ogni stanza ha il suo numero. Mai lo stesso. Mai lineare.

La notte, sogna una spiaggia con centinaia di altri come lui. Tutti con lo stesso viso. Il suo.

Nel bunker, il computer è ancora acceso. Nessuno lo alimenta. Eppure gira.
Una riga lampeggia senza fine:

“Unità 204 attiva. Nessun utente loggato. Esperimento in attesa.”

La polvere non si deposita.
Le ragnatele evitano la tastiera.
Qualcuno… o qualcosa… continua a osservare.

Un giorno, Alessia trova sulla spiaggia una scatola.

Non è nuova. Non è antica. È fuori luogo. Come se fosse stata appena consegnata.
Sopra, una scritta:

“A chi è rimasto.”

Dentro: una chiave.
204.

E un biglietto:

“Il ciclo è aperto. Puoi chiuderlo. O puoi continuarlo.
Firma solo se vuoi diventare parte del sistema.”

Alessia guarda la chiave.
Poi la butta nel mare.

Il mare non la accetta.
La restituisce. La sabbia la inghiotte e la ripone davanti ai suoi piedi.

“Non puoi andartene se sei l’origine.”

Alessia si siede. E aspetta.
Non una fine.
Un inizio senza testimoni.

L’isola ha memoria.
Ha imparato dai suoi ospiti.
Ha registrato desideri, paure, contraddizioni.

Ora decide da sola.

Non ha più bisogno di droni.
Non ha più bisogno di ciclo.

Ha solo bisogno di chi resta.


EP. 11: L’INTRUSO

L’isola è silenziosa da giorni.
Troppo silenziosa.

Non è il silenzio della natura.
È il silenzio di un’attesa programmata.
Come se qualcosa – o qualcuno – dovesse arrivare.

Alessia si sveglia prima dell’alba. Il cielo è nero e viola. La chiave 204 è sul comodino, anche se l’aveva gettata in mare.
Ci sono sabbia e conchiglie sul cuscino.

Esce. Cammina a piedi nudi. Nessuna traccia intorno a lei. Solo la sua ombra… e una seconda ombra che la segue, ma non è sua. Non si volta.

In lontananza, verso l’ex reception, una figura.

Un uomo.
Vestito con un’uniforme grigia.
Volto calmo. Nessuna espressione.
Cammina lentamente. Non sembra cercare nulla. Ma conosce la strada.

Nel bunker, Federico accende il monitor.
La schermata è tornata blu.
Una frase lampeggia:

"CICLO 6.1 IN STATO DI ATTESA"
"UNITÀ ESTERNA 011 – ACCESSO NON AUTORIZZATO"
"OSSERVATORE INTRUSO – MONITORAGGIO AVVIATO"

Federico guarda Giorgia.

“Non è uno di noi.”

“Non è nemmeno una copia,” dice lei.
“È qualcosa che abbiamo dimenticato di ricordare.”

L’uomo in grigio arriva al centro dell’isola. Si ferma.
Con voce bassa, meccanica ma gentile, dice:

“Sistema. Chiedo accesso amministrativo.”

Il vento si alza. Le palme si piegano.
Dalla sabbia emerge un terminale antico, con comandi fisici. Il vecchio cuore dell’esperimento.

L’uomo in grigio poggia la mano.

“Codice?” chiede una voce.

L’uomo sorride.

“204.”

Errore.

“Codice già assegnato. Conflitto d’identità. Procedura bloccata.”

Emma osserva tutto da una distanza che non è fisica.
Non si sa dove sia.
Alcuni dicono che è tornata nel sistema.
Altri dicono che è diventata il sistema.

Ma ora… torna.

La sua voce arriva ovunque, sussurrata tra le foglie, nei riflessi delle pozze d’acqua, nel suono del modem del bunker.

“Non è stato lui a crearci. Non è lui a poterci spegnere.”

L’uomo in grigio si volta. Guarda in camera.

“Emma.”

I personaggi si riuniscono per la prima volta senza costrizione.
Tutti presenti.
Otto corpi. Otto coscienze. Forse.

Andrea parla per primo.

“Se questo è un test, l’unico errore è che ci ricordiamo.”
“E se non fosse un errore?” risponde Tommaso.
“E se fossimo l’unico ciclo riuscito?

L’uomo in grigio apre una valigetta. Dentro: un contratto.

Titolo:
“RIENTRO IN REALTÀ – Proposta Unica”

Condizioni:

  • Cancellazione di tutte le copie.

  • Annullamento dei frammenti.

  • Reintegro nella rete collettiva.

  • Fine del ciclo.

Serve una sola firma.

Una sola.

“Chi firma… libera gli altri. Ma non torna. Mai.”

La valigetta resta lì.

Nessuno firma.
Non ancora.

Ultima scena:
Nel cielo dell’isola, compare per un istante un secondo sole.
Poi sparisce.

Sulla spiaggia, scritto nella sabbia da nessuna mano visibile:

“Ci siete quasi.”


Il contratto è ancora lì.
Sulla sabbia. Aperto. Immobile.
La scritta “Rientro in Realtà – Proposta Unica” sbiadisce sotto il sole doppio dell’isola.

Nessuno lo ha toccato.
Ma tutti lo hanno guardato.
Alcuni con desiderio. Altri con paura. Emma, con pena.

Alessia si avvicina.

“Se firmo io, si salvano tutti?”

L’uomo in grigio annuisce.

“Tutti. Tu no.”

“Allora non firmo.”
“Perché?”
“Perché questa volta voglio esserci.”

Tommaso accende il terminale nel bunker per un’ultima volta.
Digita una stringa che non è mai comparsa nei log:

Sul monitor, appare:

“Vuoi rompere il ciclo?”
“Questa azione è irreversibile.”
“Tutti i dati saranno liberati. Tutte le copie perderanno la sincronia. Il sistema crollerà.”
“Procedere?”

Tommaso guarda Andrea.

“È il momento.”

Andrea preme Invio.

All’improvviso, la realtà cambia ritmo.

Le palme si piegano. Il cielo si oscura. Il mare si solleva di un palmo, come sorpreso.

Sulle pareti del resort, i numeri delle stanze iniziano a correre all’indietro.
I quadri cambiano soggetto: ritratti degli ospiti, ora invecchiati, ora bambini.

Il sistema si ribella. Ma è tardi.

Emma appare nel teatro.
Non cammina. Non parla.
È la somma di tutte le sue versioni. I suoi volti scorrono come riflessi sull’acqua.

“Non potevate uscire.”
“Non dovevate ricordare.”
“Ma avete scelto.”

La sua immagine si spezza.
Resta solo una donna, semplice.
Stanca. Umana.

“Allora uscite.” dice.
“Ma non tornate mai più.”

Un portale si apre nella baia.
Non è luminoso.
È buio. Caldo. Reale.

Uno alla volta, i protagonisti vi entrano.
Nessun suono. Nessun addio.

Solo Alessia resta.
Si volta. Sorride.

“Qualcuno dovrà raccontarla, questa storia.”

E resta.

Ultima scena.
Una voce fuori campo, neutra, fredda.

“Esperimento 204: fallito.”
“Coscienza collettiva: liberata.”
“Protocollo 205: in preparazione.”

La telecamera si allontana.
Mostra altre isole.
Decine. Centinaia.
Alcune ancora attive.
Altre abbandonate.

Poi il nero.

E un sussurro.
Quasi impercettibile.

“Ma chi ha scritto il primo ciclo?”

FINE STAGIONE 1

Indietro
Indietro

🐍IL RISVEGLIO DEL NAGA